Simultanea da remoto: come mi sono avvicinata a questa tecnica, cosa ho imparato sulle piattaforme e gli attrezzi del mestiere e qualche riflessione personale
Mi arrivò la prima richiesta di simultanea da remoto nel 2018. Avevo iniziato a lavorare da poco più di un anno: all’attivo qualche simultanea dal vivo, un paio di consecutive e un principio di sindrome dell’impostore. Durante il corso di laurea magistrale a Forlì nessuno ci aveva parlato della simultanea da remoto: evidentemente non era una parte significativa della pratica professionale dei miei professori. Quindi quando ho ricevuto questa prima richiesta sono stata presa in contropiede: ero completamente impreparata, non avevo neppure una connessione internet particolarmente stabile ed era la prima volta che sentivo parlare di ethernet. Rifiutai.
Sembra il paleolitico a pensarci adesso, eppure era (solo?) sei anni fa. Ho continuato a rifiutare le poche richieste di simultanea da remoto finché ho potuto, e poi è arrivato il 2020 e la pandemia. Eviterò una trita riflessione su come il Covid abbia cambiato le nostre vite, basti dire che ha avuto un impatto enorme sugli eventi dal vivo i cui effetti sono durati fino al 2021 (e, per certi versi, continuano ancora oggi).
Quando arrivò la prima richiesta di simultanea da remoto post-pandemica, la sete di lavorare e il drammatico crollo del mio fatturato hanno avuto la meglio sulla diffidenza nel confronti della RSI. Ho quindi acquistato un paio di cuffie con archetto della Sennheiser, mi sono procurata un cavo ethernet, e sono andata in onda.
Dal 2020 a oggi, gli incarichi di simultanea da remoto che ho svolto si sono fortunatamente moltiplicati, le cuffie che ho rotto sono state tre, l’apprezzamento per questa tecnica è notevolmente aumentato. Con la pratica ho imparato che la RSI ha una sua etichetta, delle regole intrinseche che ne reggono il funzionamento e che possono differire, anche di molto, dalla simultanea dal vivo. Conoscere queste regole e avere l’attrezzatura giusta fa la differenza per una performance di qualità.
Etichetta e buone pratiche. La regola aurea per l’interprete che lavora da remoto è: avere pazienza. Ci sarà sempre un oratore che non ha ancora imparato che per partecipare alle videoconferenze è necessario indossare delle cuffie con microfono. Ci sarà sempre qualcuno che dimentica di mutarsi quando non ha la parola. Ci saranno sempre sedicenti tecnici che non sanno impostare il canale di interpretazione (sempre tenere il link delle istruzioni di Zoom o Teams a portata di mano). Il nostro lavoro è anche educare gli altri all’uso dell’interpretazione, con gentilezza e senza perdere la calma. E tenendo pronto un blocco di consecutiva per le emergenze.
Video sì o video no? Questione aperta tra gli addetti ai lavori, io ho sempre ritenuto buona educazione salutare e presentarsi a video aperto, per poi spiegare che chiuderemo la videocamera una volta iniziato l’evento. Una versione digitale della stretta di mano, che di solito ha anche l’effetto positivo di placare l’ansia dei clienti.
Come gestire il cambio turno affinché sia fluido e senza intoppi? Nelle piattaforme professionali c’è solitamente un tasto che invia al collega una notifica che chiede di prendere la parola. Per quanto riguarda le piattaforme di videoconferenza, invece, è necessario usare la chat. Una collega spagnola mi ha insegnato il metodo del 3, 2, 1, e da allora non l’ho più lasciato. Funziona così: quando l’interprete arriva alla fine del proprio turno, scrive “3” al collega, che significa “cambiamo, sei pronto?”. Il collega risponde con “2”, che significa “ci sono, passa quando vuoi”. A quel punto, l’interprete di turno finisce la frase/la diapositiva/il concetto e scrive “1” e chiude il microfono. Semplice ma efficace per evitare spiacevoli sovrapposizioni.
Piattaforme. Esistono diversi software professionali di interpretazione da remoto, più o meno performanti, più o meno intuitivi. Le piattaforme con cui ho esperienza sono Interactio, Ablioconference, Kudo, Rafiky. In ogni caso, anche le comuni piattaforme di videoconferenza offrono la possibilità di aggiungere il canale di interpretazione simultanea, mi capita spesso di lavorare su Zoom e, più di recente, anche su Microsoft Teams. Poi ci sono le soluzioni “ibride”, in cui si hanno due call aperte contemporaneamente su due piattaforme diverse (ad es. Webex + Teams) e da una si ascolta e dall’altra si parla. Le differenze sostanziali tra le piattaforme professionali per l’interpretazione e quelle di videoconferenza con funzionalità interprete sono che le prime sono più interpreter-friendly (somigliano in un certo senso alla consolle) mentre la seconda modalità è più diffusa e basta una licenza pro per utilizzarla. Choose your fighter.
Attrezzatura. Per quanto riguarda l’attrezzatura, conosco colleghi che utilizzano il microfono esterno (il più comune è questo qui) e colleghi che hanno addirittura montato una scheda audio esterna. In base alla mia esperienza personale, credo che avere un paio di cuffie ad archetto di buona qualità sia sufficiente per garantire un ottimo servizio. Sono una soluzione più maneggevole (occupano poco spazio quando si viaggia, ad esempio) e più economica. Per me, le cuffie migliori devono avere un attacco jack, un controllo del volume e un tasto muto integrati, e devono essere on-ear. Io ho di recente acquistato queste qui ma il mio tecnico di fiducia mi ha vivamente consigliato anche queste.
Pro e contro della simultanea da remoto. La RSI ha tanti lati positivi, sia per i clienti che per gli interpreti. Per i clienti, è innanzitutto più economica: non richiede il noleggio di attrezzatura o eventuale rimborso spese per gli interpreti. Organizzare un evento da remoto ha il grande vantaggio che i partecipanti possono collegarsi da qualunque parte del mondo, il che facilita la partecipazione anche di coloro che altrimenti avrebbero fatto fatica a recarsi sul posto, come può capitare con gli oratori stranieri. Anche gli interpreti però traggono diversi benefici dalla simultanea da remoto, che permette loro di lavorare ovunque si trovino, a patto di avere un’ottima connessione internet, e per eventi che si svolgono dall’altra parte del mondo. L’altro grande vantaggio è che permette di svolgere più incarichi nell’arco della giornata: non doversi spostare da una location all’altra ci permette di risparmiare tempo prezioso.
Il principale svantaggio, sia per clienti che per interpreti è che “real business happens at coffee breaks“: trascorrere insieme le pause caffè e le pause pranzo è fondamentale per costruire legami di fiducia con i colleghi, scambiare opinioni, crescere professionalmente.
In conclusione, posso affermare di essere passata da una diffidenza, quasi timore nei confronti della RSI a essere una sostenitrice della simultanea da remoto? Non sono una nativa digitale, sono nata nel 1993 e appartengo all’ultima generazione che ascoltava le musicassette in auto. La mia prima reazione nei confronti della tecnologia non è quasi mai di entusiasmo, anzi: come mi disse una volta uno studente vedendomi affannarmi a far funzionare il computer dell’aula, “non si preoccupi prof, anche io sono un po’ tecnoleso“. Tuttavia, credo che per questa, come per tante cose, in medio stat virtus: un giusto mix di eventi dal vivo e da remoto permette sia ai clienti che agli interpreti di trarre il meglio dai due mondi. Anche se ogni tanto comporta la rinuncia alle pizzette del buffet.
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